La censura postale

La censura postale rappresentò uno dei primi aspetti della quotidianità della guerra con cui la popolazione italiana fu chiamata a confrontarsi.

Il provvedimento, emanato con Regio Decreto il 23 maggio 1915, aveva un duplice scopo. Da un lato tendeva a bloccare, in tutti i modi possibili, l’uscita delle informazioni ritenute sensibili, sia militari sia civili, in cifra e in chiaro, che potevano raggiungere il Servizio informazioni dell’Impero austro ungarico e dall’altro impedire, specie con il protrarsi del conflitto, che il malcontento e il disfattismo facessero presa tra gli strati civili e militari della popolazione provocandone rivolte e scontri di piazza.

L’apparato di censura dipendeva direttamente dal Servizio Informazioni del Comando Supremo ed era diviso in tre Uffici: posta militare, posta interna e posta estera.

Ogni missiva, lettera, cartolina, raccomandata e telegramma era aperta e il contenuto soggetto a verifica. Il censore, dopo aver esaminato lo scritto e il contenuto (era vietato l’invio di soldi e di carte valori come puer l’invio di cartoline con paesaggi) poteva a sua discrezione ricorrere a diversi metodi di censura. L’oscuramento di una o più parti della missiva con il nero di china oppure, caso limite, bloccando le lettere ritenute sospette per poi consegnarle all’autorità militare.

La busta veniva quindi richiusa e apposto un timbro o una fascetta di avvenuto controllo con la dicitura  VERIFICATA PER CENSURA.

Il lavoro di censura svolto nei vari uffici fu immenso e provocò anche notevoli ritardi nella consegna della corripsondenza che, in taluni momenti critici, come la disfatta di Caporetto, si preferì distruggere piuttosto che far pervenire senza il preventivo controllo di censura.

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Cartolina censurata (fronte)

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cartolina censurata (retro)