LA GUERRA E GLI ANIMALI
EROI SILENZIOSI AL SERVIZIO DEGLI ESERCITI
di Serenella Ferrari
Gli animali hanno ricoperto un ruolo fondamentale nelle strategie belliche fin dall’antichità: già nel terzo millennio a.C. in Mesopotamia gli Assiri e Babilonesi usavano gli alani come cani da combattimento mentre l’imperatore persiano Ciro II il Grande possedeva nel suo esercito schiere di fortissimi cani molossi; lo stesso Omero narra di carri trainati da cavalli durante l’assedio di Troia, Alessandro il Macedone affrontò i Persiani in groppa al suo mitico Bucefalo mentre Annibale usò i suoi celebri elefanti nelle cariche per scompaginare i ranghi nemici, senza poi dimenticare le oche sacre del Campidoglio, che scongiurarono l’assalto a Roma da parte dei Galli di Brenno.

Il comandante Cadorna non disdegnava di utilizzare umili cavalcature per visitare le postazioni di alta montagna
Il comandante Cadorna non disdegnava di utilizzare umili cavalcature per visitare le postazioni di alta montagna
Coinvolti – loro malgrado – nei combattimenti, si ritagliarono un ruolo fondamentale anche durante la Grande Guerra: animali da lavoro, da cibo, da supporto ma anche da affezione. Gli archivi fotografici ufficiali degli eserciti sono colmi di queste testimonianze, i libri di storia per le scuole purtroppo no ma la storia che non attesta il ruolo e l’utilizzo degli animali nei conflitti è una storia incompleta, che tace sul dolore patito dalle bestie alla pari degli uomini, creature che hanno svolto il loro dovere di soldati a tutti gli effetti.
Delle imprese da loro condotte restano le testimonianze dei soldati e dei fotografi di guerra che immortalarono gli addestratori di cani, le lunghe scalate sulle montagne innevate degli alpini e i loro muli ma anche la cruda realtà dei campi di battaglia, delle ritirate disperate, della tragica quotidianità della vita in trincea con uomini e animali deperiti e sofferenti. Nonostante l’impiego di armi sempre più sofisticate e l’avvento di trasporti motorizzati, l’uomo non poté fare a meno degli animali mobilitandone più di 16 milioni, fra cui 11 milioni di equini, 100.000 cani, 200.000 piccioni viaggiatori; questo è il tremendo bilancio che attesta l’esistenza di un vero e proprio “esercito a quattro zampe” impiegato nelle mansioni più diverse e strategiche a sostegno delle truppe di tutti gli eserciti. Animali in guerra CON e PER l’uomo, dunque, trasportando armi, munizioni, equipaggiamenti ma anche per liberare le trincee dai ratti, per ritrovare e soccorrere i feriti o per far giungere ordini e comunicazioni da e per il fronte.

A Gorizia operava fino al maggio 1915 una stazione militare con più di 200 piccioni, ospitata nel Castello da dove i volatili guadagnavano quota con facilità. Di questi, poco più di 100 furono inviati allo scoppio delle ostilità con l’Italia alla stazione di comando di Klagenfurt
Preziosi alleati dei soldati e forse tra gli animali più utilizzati, i piccioni viaggiatori fin dall’inizio del conflitto formarono in tutti gli eserciti speciali reparti con personale preposto per la loro cura e l’addestramento. In zona operazioni di guerra, ogni settore divisionale aveva quattro colombaie mobili, i comandi di armata da due a quattro. Talvolta i volatili erano utilizzati anche come fotografi: armati di speciali fotocamere abilmente sistemate sul loro petto, erano in grado di scattare strategiche foto aeree; fu il farmacista tedesco Julius Neubronner a progettare il prototipo di queste fotocamere (30-75 gr.) adattabili al petto del piccione tramite un’imbragatura mentre un timer di autoscatto provvedeva alla registrazione fotografica durante il volo. Fra questi eroi piumati c’è da ricordare il celebre piccione Cher Ami (ora imbalsamato alla Smithsonian Institution di Washington) che trasportò un messaggio che salvò un battaglione americano isolato oltre le linee tedesche, volando per 40 km nonostante una pallottola gli avesse spappolato una zampa e attraversato il petto.
Il ruolo dei gatti, oltre a quello di animali da compagnia, era molto gravoso: grazie al loro olfatto sopraffino, infatti, venivano utilizzati come “sentinelle” per sondare eventuali attacchi chimici.

Il trasporto di rifornimenti di munizioni per prime linee veniva spesso affidato a cani di grossa taglia dotati di apposite tasche da trasporto

Autunno 1914, fronte franco belga: un soldato inglese (il ten. Col. Richardson?) preleva delle bende dalla sacca portata dal cane del soccorso feriti
I cani, invece, venivano usati per prestare soccorso ai feriti, come animali da traino ma anche semplicemente per far compagnia a soldati e ufficiali. Per loro esisteva una vera e propria “chiamata alle armi”: ogni famiglia doveva recarsi con i propri cani a una selezione, una sorta di visita di leva. Furono istituiti corsi per conduttori di cani da guerra, per formare un perfetto binomio uomo–cane da impiegare in specifiche mansioni e la situazione imponeva di ottenere i risultati attesi nel minor tempo possibile. Per convincere i cani ad addentrarsi in anfratti, a vivere in condizioni difficili e a non abbandonare il proprio lavoro di ricerca anche se accerchiati da rumori assordanti e azioni concitate, i finti feriti in addestramento nascondevano nelle mani delle salsicce da utilizzare come premio. Un rigido disciplinare imponeva che i cani fossero sempre puliti e spazzolati quotidianamente oltre che il meritato riposo. Ma i cani potevano anche trasportare materiali di vario genere: cibo, acqua, armi, munizioni e preziosi messaggi. Nel 1915 erano in servizio circa 2000 cani che salirono a 20.000 nel 1918 dai quali, al termine del conflitto, furono selezionati i cani guida per ciechi di guerra. Quelli da compagnia e da guardia svolsero un ruolo fondamentale fra le truppe: si trattava di uno dei pochi legami affettivi che potevano dare una parvenza di normalità e di vita familiare all’interno di una realtà tragica. Molte immagini raffiguranti cani di taglie e razze assolutamente inappropriate per il traino o la sanità, fugano ogni dubbio sul fatto che fossero soltanto animali da compagnia e il più delle volte svolgevano anche una funzione fondamentale, ovvero quella della guardia e di scacciare i ratti.

Un capitano di un reggimento di fanteria dell’esercito austro ungarico in posa con il suo cavallo
I cavalli furono gli animali più impiegati nel conflitto: indispensabili per il tiro dei carri, delle artiglierie, per lo spostamento delle truppe e del rifornimento delle retrovie, nonché fedeli compagni degli ufficiali in prima linea, ebbero un ruolo da protagonisti e il loro utilizzo comportò la presenza di stalle, foraggi, veterinari e stabilimenti per smaltire le carcasse. Esposti al fuoco nemico delle mitragliatrici, alle insidie del filo spinato, ai gas tossici, sui campi di battaglia i cavalli furono un facile bersaglio; ma anche dietro le prime linee, la loro vita era segnata dalla fatica, dalla malnutrizione, dalle pandemie e dall’incuria. Esposto a condizioni estreme, un cavallo da guerra raramente sopravviveva più di dieci giorni, ma la minaccia più grande veniva dagli uomini del loro stesso reparto che spesso, a causa della fame, erano costretti a macellare i fedeli camerati.
I muli godevano fin dall’antichità di grande fama per la loro indole intelligente e il fisico resistente; molto meno timorosi dei cavalli, raramente si facevano prendere dal panico ed erano in grado di portare pesi oltre i 150 kg. percorrendo distanze fino a 40-50 km al giorno. Gli zoccoli, più piccoli e più duri, consentivano loro di affrontare terreni accidentati e forti salite; resistenti alle malattie e parassiti consumavano meno cibo e acqua e sopportavano meglio i climi estremi con una forte capacità di recupero delle forze dopo grandi fatiche. Tali caratteristiche fisiche li resero indispensabili nella guerra sul fronte montano: principalmente animali da soma furono però usati anche per il traino e come cavalcatura. Il rapporto era tre muli per un cannone, ovvero uno per la canna, uno per l’affusto e uno per le munizioni. Nel corso della Grande Guerra furono impiegati circa 520.000 capi creando l’indissolubile connubio con gli Alpini (proprio da loro presero il nome i difficili sentieri alpini, le “mulattiere”).

Una mandria di bovini, probabilmente requisiti dall’esercito austriaco, si avvia verso la zona della macellazione. La carne era una risorsa indispensabile per il rancio del soldato ma anche rara e quindi sempre razionata

Carcasse di animali abbandonate lungo la strada della ritirata da Caporetto dell’esercito italiano dopo lo sfondamento del fronte del 24 ottobre 1917. Gli animali sfiniti o malati furono abbandonati o uccisi per non farli cadere in mano nemica
Anche i bovini servivano per il traino di cannoni e carri, tuttavia il loro ruolo principale era quello di fornire cibo ai soldati. Insieme alla produzione del latte, furono utilizzati soprattutto per la produzione di carne in scatola, alimento indispensabile sul fronte. Si calcola che solo in Italia durante il corso della Grande Guerra furono consumate più di 200 milioni di scatolette di carne e di pesce.
Ma nelle trincee furono ospitati anche animali domestici o da fattoria, abbandonati dai contadini o dai civili in fuga, così come molti animali selvatici che rimanevano bloccati in mezzo al fronte; ad ogni modo tutti, indistintamente, aiutarono i soldati a sopravvivere nell’infermo bellico diventando per loro amici da proteggere ma anche custodi e fedeli servitori grazie a quel rapporto ancestrale che li ha sempre legati all’essere umano.
Quello tra uomo e animale era un legame profondo che investiva anche la sfera dei sentimenti, una sorta di moderna Pet Therapy che consentiva di creare momenti di affetto che raramente potevano essere manifestati in una società militare fortemente gerarchizzata.

Vittorio Locchi e il suo cane Isonzo
Una foto emblematica ci presenta il poeta fiorentino Vittorio Locchi (1889-1917): seduto su una grossa pietra stringe a sé sorridente il suo cane, il “fedele Isonzo trovato a Gorizia l’8 agosto 1916” come recita la frase vergata a penna sulla foto, ovvero il giorno della presa di Gorizia, avvenuta nel corso della VI^ battaglia dell’Isonzo. Locchi era il responsabile postale, con il grado di tenente, della XII^ Divisione Fanteria di stanza sul Calvario, nei pressi di Gorizia, che tra le macerie di una città messa ormai in ginocchio trovò questo bel cane forse arruolato in un’altra divisione, forse abbandonato dai suoi padroni in fuga, forse semplicemente un randagio. Egli lo prese con sé e la bestiola lo seguì ovunque ma non sappiamo quanto durò l’amicizia fra il giovane militare e il cane, non ci sono notizie o testimonianze che lo confermino accanto a Locchi anche durante il suo viaggio di trasferimento in Macedonia nel 1917 in cui trovò la morte; il 13 febbraio si imbarcò a Taranto assieme alle truppe del Corpo di Spedizione Italiano sul piroscafo “Minas”, ma due giorni più tardi, durante il viaggio, la nave fu silurata da un sommergibile nemico che la fece esplodere nei pressi del porto di Salonicco a largo di Capo Matapan.
Nel 2004 a Londra in una delle vie che costeggiano Hyde Park è stato eretto un monumento – ispirato dal libro Animals in War di Jilly Cooper – per ricordare gli animali morti insieme alle forze alleate e britanniche nelle guerre e nelle campagne di tutti i tempi. Su una delle candide lastre di pietra semicircolare una laconica iscrizione recita “They had no choice”, ovvero “Loro non avevano scelta”. E dice tutto.
Crediti fotografici: Massimo Di Lenardo di Gorizia, Roberto Lenardon di Monfalcone, Mario Muto di Gorizia e Bruno Pascoli di Gorizia
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